Nicolò Gallio, esperto di marketing cinematografico e audience design, in questo post racconta le sue esperienze e valutazioni sull’utilizzo delle IA conversazionali nel settore.
È percezione diffusa tra gli addetti ai lavori che l’IA sia ormai innestata in tutti i processi di marketing del prodotto audiovisivo. Anche in questo contesto specifico, i risultati sono però altalenanti: proprio come in altri settori della filiera dell’industria cinematografica, si oscilla tra stupore, confusione, incertezza e grandi aspettative per quella che è considerata la tecnologia potenzialmente più dirompente di sempre.
Applicazioni dell’IA nel marketing cinematografico.
Va innanzitutto notato che nel settore del marketing e della pubblicità, anche applicata al cinema, c’è stato un evidente “AI washing”: laddove fino a ieri era tutto un proliferare di servizi e tool basati su big data, algoritmi e software, oggi gli stessi sono immancabilmente tutti “AI-powered”. C’è anche onestamente molta confusione che deriva dalla non conoscenza di cosa sia esattamente un algoritmo o un software e di come funzionino certe piattaforme integrate nel marketing e nella distribuzione. Ad esempio, molti professionisti dell’audiovisivo che giurano di non aver mai utilizzato l’IA nella promozione dei loro film, si stupiscono quando scoprono che la gestione delle inserzioni pubblicitarie su Google ADS e Meta ADS utilizza la machine learning nelle fasi di apprendimento, bidding, selezione dei target e A/B testing – e che cos’è l’apprendimento automatico se non appunto una branca dell’intelligenza artificiale?
Nel cosiddetto marketing predittivo si riscontra ancora molta resistenza, soprattutto da parte di registi e sceneggiatori che non amano particolarmente vedere un tool analizzare il proprio film e valutarne in pochi istanti il potenziale di mercato a confronto con benchmark nazionali o internazionali. Nell’area della ricerca sui pubblici supportata dall’intelligenza artificiale, peraltro molto stimolante, i budget sono ancora fuori portata per un film indipendente o arthouse medio europeo. Nella fase di script development, poi, generalmente registi e sceneggiatori detestano ricevere commenti derivati dall’analisi del loro lavoro da parte di un algoritmo, e preferiscono che i loro script siano valutati da esseri umani con esperienza nel settore.
È dunque al marketing strategico e di contenuto che dobbiamo guardare per l’utilizzo su larga scala del tipo di intelligenza artificiale più noto al grande pubblico dal momento del rilascio di ChatGPT alla fine di novembre 2022, quando chiunque ha potuto testare in prima persona l’IA generativa. Qui sta forse la vera democratizzazione di accesso ad una serie di opportunità che a costo ridotto (nelle versioni “plus”), se non addirittura gratuitamente, offrono la possibilità di avere un partner creativo per tutta una serie di operazioni e processi che vanno dalla fase di ricerca e sviluppo, a quella di lancio sul mercato.
L’IA generativa nel marketing alla prova dei fatti.
Large language models come quelli usati in ChatGPT di OpenAi, Claude di Anthropic e Mistral di Mistral AI, o motori di ricerca conversazionali come Perplexity AI possono fornire un aiuto non indifferente in momenti particolarmente delicati come il marketing nella fase di sviluppo. Questa è la fase in cui è molto difficile ci sia del budget extra per ragionare su mercato e pubblico. D’altronde è proprio qui che si preparano le domande a fondi di sviluppo e sostegno economico che spesso richiedono di avere idee su come promuovere il film che si sta scrivendo, in quali canali si intende distribuirlo e quali sono le target audience che si intendono raggiungere, e con quali idee di engagement si pensa di poterne catturare l’attenzione.
Partiamo però dalla fine, prima di menzionare i casi d’uso più interessanti. Dove forse tanti speravano ci sarebbero state più intuizioni creative, nell’area delicatissima e problematica della distribuzione, è evidente che siamo ancora lontani anni luce dall’esperienza acquisita sul campo da un sales agent o un produttore navigato che conosca bene il mercato audiovisivo internazionale e sappia dove e come presentare i propri film. Non c’è prompt che tenga: le idee sui possibili percorsi di sfruttamento di un film rimasticate da una IA generativa sono piuttosto banali, scontate anche quando si spinge un po’ il modello a ragionare “out-of- the-box”, e non tengono conto di un aspetto fondamentale come la capacità di valutare veramente la complessità del contesto a partire dal progetto specifico – se cioè un prodotto cinematografico abbia veramente le qualità per poter essere presentato al Festival di Cannes (e in quale specifica sezione della kermesse francese) o se invece possa aspirare al massimo ad un passaggio in una rassegna di provincia.
Questi modelli sono però particolarmente efficaci in tutta una serie di attività di brainstorming e preparazione di contenuti che hanno a che fare con l’analisi tematica della sceneggiatura e lo story mapping; la (ri)scrittura di sinossi, tagline, titoli, contenuti per press kit, pitch deck e siti web; la segmentazione del pubblico e la preparazione di Buyer Personas; l’ideazione e l’editing di contenuti per content marketing, social media e storytelling in generale; la generazione di idee creative per attività promozionali; la creazione di asset visivi, mockup, sketch art e pre-visualizzazioni; la revisione linguistica di documenti.
ChatGPT e Claude sono probabilmente i modelli più utilizzati per un uso “trasversale”. Il primo, anche in forza di una posizione dominante per motivi “anagrafici”, dà anche accesso a tutta una serie di GPT verticali e la possibilità di creare i propri GPT personalizzati; il secondo, oltre ad essere veramente molto performante nella versione 3.5 Sonnet, offre l’interessante funzione degli artefatti che si rivela molto utile nella fase di scrittura e editing di prompt in sequenza. In questi casi è comunque buona prassi passare un po’ di tempo a definire bene il contesto delle richieste, abbinare ai modelli più diffusi l’uso di strumenti come Perplexity per ricerche strutturate, e combinare l’interrogazione dei chatbot più popolari ad altri forse meno conosciuti come Mistral, per compensare eventuali bias o dataset sbilanciati su certi territori a discapito di altri, ottenendo così risultati più focalizzati sull’area geografica europea.
Cosa non funziona ancora a dovere? Premesso che ogni release ha finora migliorato sensibilmente la precedente, ecco qualche criticità da considerare:
- gli LLM non sono motori di ricerca, e qualora il modello non abbia accesso a internet e debba basarsi solo sui dati di addestramento, oltre a soffrire in generale di un evidente squilibrio a favore del mercato americano, non vengono incluse negli output le informazioni più recenti – un aspetto fondamentale in sede di benchmarking e ricerca di informazioni su progetti comparabili nuovi, dato che nel settore dell’audiovisivo anche un lasso di tempo di un paio d’anni fa una grossa differenza;
- i risultati presentano ancora alcuni errori di contesto, ad esempio titoli di film scambiati per nomi di case di produzione cinematografiche (e viceversa), o anni di release errati, o confusione tra lungometraggi e corti, o imprecisioni nei nomi di cast & crew;
- laddove non vengano fornite fonti e link esterni per il fact-checking dei contenuti prodotti dai chatbot, il processo di revisione e controllo è reso più complicato;
- la coerenza nella creazione di asset (audio)visivi interconnessi è ancora problematica, in particolare in termini di consistenza tra generazioni, ed è un processo che richiede ancora molto tempo e troppi tentativi per essere veramente efficiente.
C’è poi la questione più cruciale di tutte, quella che sta a monte di qualsiasi utilizzo pratico. Tra le obiezioni etiche più comuni all’uso di queste piattaforme da parte dei team creativi (sceneggiatori, registi e produttori in primis) possiamo elencare:
- le critiche al modo in cui sono stati costituiti i primi dataset di addestramento dei modelli, basati su una fase di data scraping non autorizzato e lesivo della proprietà intellettuale di molti artisti di varie industrie creative, che porta chi opera nel cinema a essere solidale con i colleghi anche di altri settori e quindi a vedere con diffidenza questa tecnologia e le aziende che la sviluppano;
- il rifiuto di dare in pasto ad un modello documenti completi (sceneggiatura e paratesti come note di regia e di produzione, deck con informazioni sensibili ecc.), nel timore che vengano usati per addestrare i modelli stessi o che dati sensibili possano essere usati per altri fini;
- il fatto che i dati di training (all’origine soprattutto americani) siano portatori di bias e specificità locali anglosassoni che non rappresentano la diversità dei territori e dei popoli europei;
- la riserva di fondo nell’affidare la parte più stimolante del processo creativo ad una macchina, con il timore che in un futuro prossimo la generazione stessa delle sceneggiature diventi un processo industriale in capo alla IA.
Chatbot e buon senso.
Date queste condizioni è evidente che, rispettando la volontà dei team di progetto di non ingaggiare l’intelligenza artificiale nel pieno delle sue possibilità, l’utilizzo dell’AI è ancora possibile, anche se meno efficace. Si può, ad esempio, bypassare il caricamento di documenti interi descrivendo il progetto in termini generali ed eliminando dalle finestre di contesto i dati sensibili; o focalizzarsi su benchmark per ottenere informazioni attigue a quelle che si otterrebbero con l’interrogazione diretta dei materiali del film che si sta sviluppando.
Il consiglio di base è di usare il buon senso e considerare le seguenti raccomandazioni:
- innanzitutto, proteggere le idee creative e i materiali ad esse connesse, registrando la sceneggiatura completa e presentando il film in sviluppo in contesti professionali laddove possibile, potendo così dimostrarne l’esistenza ad una certa data;
- leggere fino in fondo i termini di servizio, le informazioni sulla privacy e altre documentazioni collegate fornite dalle piattaforme scelte, che spiegano dove e come vengono trattati i dati condivisi con i modelli;
- considerare le conversazioni con i chatbot come nella peggiore delle ipotesi, quella cioè che un giorno, da qualche parte, queste possano essere lette da qualcuno per qualche motivo (alcuni dei quali sono elencati di preciso dai servizi stessi);
- cancellare le chat una volta terminato il lavoro (o crearne di temporalmente limitate, dove consentito) ed effettuare l’opt-out dal consenso all’uso dei dati e delle conversazioni per allenare i modelli – laddove i tool lo consentano.
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