L’Intelligenza Artificiale è diventata mainstream. Già questo indica che, dopo un alternarsi di inverni ed estati negli scorsi decenni, si è arrivati un punto di svolta grazie a nuovi algoritmi, nuovi modelli di reti neurali, hardware più potenti e immense quantità di dati disponibili.
Le IA generative sono sistemi logici e inferenziali che estraggono da miliardi di dati quelle che per noi sono informazioni utili (per loro, al momento, successioni probabilisticamente significative), generando nuove combinazioni di dati che, sempre per noi umani, assumono un valore, che sia esso didattico, illustrativo, chiarificatore, esplicativo o estetico.
Non abbiamo sufficienti conoscenze sull’intelligenza biologica per poter riconoscere con certezza barlumi di processi cognitivi in questi sistemi; negli anni ho letto molti libri e articoli su questo argomento, sulle neuroscienze e sull’evoluzione, arrivando alla conclusione che non si può escludere il sorgere di intelligenze sintetiche.
Ma una cosa è l’intelligenza, l’altra la coscienza. La prima riguarda i comportamenti, l’agire nel mondo (dove agiscono le IA? Principalmente nel mondo simulato dai nostri dati). La seconda è uno stato dell’essere dipendente, tra l’altro da emozioni e, per gli umani, da sentimenti. Negli esseri biologici i due aspetti si sono co-evoluti. E’ possibile avere un’intelligenza senza coscienza? Secondo me sì. E’ possibile avere un’intelligenza che si interfaccia solo indirettamente con il mondo? Secondo me sì (intelligenza del second’ordine) ma inevitabilmente portata a espandersi nella realtà fisica.
Ciò che possiamo fare, anche in questo caso, è co-evolvere: è vero che, come afferma Chiara Valerio, che “per ChatGPT la retroazione siamo noi, correggiamo ciò che dice e lui impara. […] Siamo diventati il feedback della macchina.” Ma in questo modo, in un certo senso, ne guidiamo la sua esplorazione del mondo. Se gli esseri umani hanno usato i loro sensi come input per interfacciarsi con la realtà, le AI usano i nostri dati come input, producendo altre e talora diverse interpretazioni della realtà.
Un’altra considerazione. Prendiamo un sistema di generazione di immagini come DALL-E: in prima approssimazione, non funziona in maniera così diversa dal nostro cervello.
Innanzi tutto è basato su una rete neurale che prende come modello (iper-semplificato) le connessioni dei neuroni cerebrali. Poi, come le persone creative, assorbe una miriade di esempi (lui da immagini/testi, noi dal mondo), combinandoli e ricombinandoli per creare nuove immagini.
Quello che manca all’algoritmo è un filtro che agisca selezionando le immagini secondo criteri quali “buono”, “bello” ecc.
Inoltre, per un essere umano, è l’intero processo creativo a essere importante: scelte, riflessioni, esperienze, raffinamenti, attenzione.
E, naturalmente, entrano in gioco emozioni e sentimenti.
Un punto a favore degli algoritmi di IA è che essi partono da una tabula rasa, non avendo preconcetti (se non quelli ereditati dal set di immagini di training): può combinare schemi e concetti con una “purezza” quasi infantile.
Immagine tratta dal progetto “Ritratti dall’ “Antologia di Spoon River”” , creati con l’IA da Mirco Tangherlini